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Keith Haring - Radiant Vision: perchè la mostra a Monza mi ha colpito così tanto

30/10/2022 21:00

Vito Sugameli

In Viaggio, Keith Haring,

Keith Haring - Radiant Vision: perchè la mostra a Monza mi ha colpito così tanto

Arte, vita, cultura pop: Keith Haring - Radiant Vision, a Monza, è una mostra da vedere. Vi racconto la mia esperienza.

In Viaggio è la rubrica in cui racconto mostre, eventi e luoghi che ho visitato mentre mi trovavo in giro, e che mi hanno colpito per qualche motivo.

Credo che viaggiare sia formativo tanto quanto leggere un libro o guardare un film. Soprattutto nel mio lavoro apprendere - continuamente e su più versanti - è importantissimo: le competenze tecniche non sono sufficienti per poter avere una visione sempre a fuoco e al passo coi tempi. È quello che provo a trasmettere con la mia rubrica Visti sul Web, ma anche coltivando la mia passione per il cinema e i videogiochi. Con l’arte, pur piacendomi molto, ho meno occasioni di entrare in contatto: per fortuna ho una compagna che riesce a smuovere l’animo passivo che è in me.

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Qualche settimana fa, mi ha portato a sorpresa a Monza dove, prima per visitare la reggia, ho visto una mostra che mi ha lasciato qualcosa dentro. Nonostante siano passate alcune settimane, in questo articolo voglio parlare di Keith Haring - Radiant Vision: un’esposizione che consiglio di vedere a tutti.

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Keith Haring - Radiant Vision: la mostra racconta l’uomo e l’artista

L’esposizione dedicata a Keith Haring, il più celebre artista pop degli anni ’80, morto prematuramente nel 1990 a causa di complicanze legate all'AIDS, arriva a Monza dopo quattro tappe di un tour americano che ha attraversato Missouri, New York, Florida e Pennsylvania. Si tratta, quindi, di una mostra molto prestigiosa che, prima di giungere in Italia, è passata da alcuni dei luoghi simbolici della vita dell'artista. È iniziata il 30 settembre e termina il 29 gennaio 2023, quindi avete ancora tutto il tempo di vederla. Il mio suggerimento è di andarci assolutamente, dal momento che per me è stata un’esperienza davvero affascinante e formativa.

 

In mostra ci sono oltre 100 opere provenienti da una collezione privata: foto personali, dipinti, memorabilia, articoli di giornale che illustrano la carriera (breve ma prolifica) di Haring, raccontando diversi aspetti della sua vita e della sua produzione. Come la street art e le celebri opere nelle gallerie di New York, il Pop Shop e il suo lavoro commerciale.

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Quello che mi ha colpito più di ogni altro aspetto è come, quando si parla di Keith Haring, la distanza tra l’uomo e l’artista si annulla. Haring era un attivista dei diritti civili, contrario al nucleare e tra i primi ad avere raccontato la verità dell’AIDS: tutte queste battaglie si riflettono nella sua produzione senza soluzione di continuità, tanto che in mostra si susseguono poster, opere d’arte pubblica e di beneficenza a sostegno delle cause che gli stavano più a cuore. Una delle serie più famose è Radiant Baby, divenuta un’icona della cultura americana negli anni ’80 e anche di quel decennio.

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L’arte è per tutti

Esiste questo preconcetto, ormai radicato in tutto il mondo e a tutti i livelli, che l’arte sia una cosa per pochi, riservata all’élite. Keith Haring fronteggiava con tutte le sue forze questa idea, realizzando le sue opere dappertutto e per chiunque. Oltre agli esempi che facevo prima, dove l’arte è usata come veicolo per trasmettere messaggi sociali e politici, la street art di Haring aveva come obiettivo fare arrivare la pittura nei luoghi più difficili del mondo: il primo passo è stata la sua città, New York, che negli anni in cui Haring era attivo si è riempita di colori e murali proprio nelle zone più isolate e abbandonate. Dal momento che non tutti hanno i mezzi e la possibilità di andare in un museo, perché non portare l’arte dove serve davvero?

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Ma Keith Haring non si è fermato qui, dipingeva a stretto contatto con bambini e street artists (lasciandosi ispirare da chiunque, senza alcun pregiudizio) e ha trasformato l’arte in un bene di consumo. Lontano dal seguire percorsi accademici tradizionali, era più interessato al confronto diretto e umano con chi viveva la strada, con persone comuni che quotidianamente incrociavano casualmente le sue opere e interagivano con esse. Un'arte destinata a restare impressa nella memoria, nonostante alcune di queste opere - soprattutto inizialmente - non superassero le 24 ore. Per Keith Haring la strada era una mostra a cielo aperto, gratuita, in costante evoluzione e a disposizione della collettività. Nel 1986 inaugura a SoHo, New York, il Pop Shop: un punto vendita di gadget e magliette che ritraggono le sue opere più famose, così da mettere davvero il proprio operato a disposizione di tutti e a prezzi popolari.

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Keith Haring, tra arte e cultura pop

Non so voi, ma io da tutta la vita mi sento spiegare che una certa cosa è arte e un’altra cosa (se va bene) è cultura pop. Avete capito di cosa parlo: di fumetti, action figure e di tutti quei prodotti pop, è vero, ma che arrivano al grande pubblico e si imprimono nell'immaginario collettivo. Questa distinzione netta tra arte e cultura pop quando ero più giovane mi faceva arrabbiare, però ammetto che mi ha sempre affascinato. Oggi cerco in ogni modo di approfondirla. La mia impressione è che sia cambiato ancora poco o nulla rispetto a questo pregiudizio, nonostante l’influenza degli artisti della Pop Art.

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Con il Pop Shop, Keith Haring ha voluto dire che il confine tra arte e consumo è davvero molto sottile. E, ancora prima di lui, lo aveva sostenuto Andy Warhol con la Factory. Eppure siamo ancora qua a dividere da una parte la "cultura alta" e dall’altra i prodotti pop. Da una parte si schiera l'elite di chi si sente artista, dall'altra chi l'arte la plasma, la vive e la trasforma davvero.

 

Mi ha colpito come la cultura popolare nell’arte di Keith Haring faccia tutto il giro: inizia dal consumo, viene inglobata dalla pittura, trasformata in arte e termina in un progetto di vendita in un negozio per il consumo di chiunque. Volete sapere una curiosità? Haring ha studiato l’arte di numerosi pittori che lo affascinavano, tra i quali artisti a lui contemporanei o di poco precedenti (come Warhol), ma all’inizio della sua carriera sono stati i fumetti a ispirarlo: in particolare le strisce con i personaggi Disney e Dr. Seuss, in grado di esercitare su di lui un'influenza duratura negli anni. Mi è sembrato un insegnamento prezioso.

Conoscevi Keith Haring? Che cosa ne pensi del rapporto tra arte e cultura pop? Raccontami le tue impressioni nei commenti qui sotto o contattami. Sono curioso!